“fabbrica di diamanti e oro puro”

Open day 2015: un mese dopo

Come una scuola può diventare “fabbrica di diamanti e oro puro”. Esperienza di un ragazzino di prima media all’Open day

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“Ennesima, noiosa, settimana di scuola”, pensai tra me e me in macchina. Stavo ascoltando un po’ di musica classica mentre rimpiangevo il week-end, ormai lontano.

“Almeno, spero che nessuno annunci test. Figuriamoci. Mi tengo già sulla data del 14/15 aprile, con il segna-libro. Chissà, forse verrà fissata una verifica di grammatica”, continuai a pensare incessantemente nella mia testa. All’improvviso mi ricordai dell’ultima verifica ”Brr… spero proprio di no”.

Arrivai a scuola. Salutai affettuosamente mia madre, come sempre, e, come ogni lunedì, m’incamminai stanchissimo verso l’ingresso. Mi ritrovai davanti alla scuola a blaterare con i miei amici.

“Hola, come va?” diceva Riva; “Sai, io sono andato…”, continuava Baro. “Ma perché?” ribatteva Marabelli nell’italiano più scorretto possibile. Io, però, lasciai perdere: noia.

Dopo un po’ mi ritrovai in classe. “C’è qualcosa che non va: nel corridoio c’è una grande agitazione generale; i professori vagano per i corridoi come pellegrini e il nostro professor Pozzoli è stranamente in ritardo ed i banchi non sono separati per una normale verifica del lunedì”, pensavo ansiosamente. L’avrei anche detto a voce alta, se il prof. non fosse sbucato dal nulla. E per di più sorridendo a tutti: a tutti, nonostante il caos mattutino.

“Oh mamma”, dissi guardando sulla cattedra; ”Cartelloni sui mobili. Non è un cattivo segno, ma…..”, non finii la frase che Dell’Orto urlò: “Open day”. Fu allora che mi resi conto di tutto. Ogni cosa mi fu chiara. A parte l’occhiataccia del Professore a Dell’Orto, vi era felicità sparsa nell’aria.

“Altro che settimana noiosa di scuola: è incominciata la settimana più cool della scuola”, dissi, togliendo il segna-libro dal diario fissato sul 14 e spostandolo al 24 Aprile”.

Per l’Open Day ci hanno assegnato parti varie.

Io ho scelto quella che per me era la migliore: “Lo Hobbit”. Non ebbi problemi a scegliere. Alcuni, invece, hanno impiegato una vita a scegliere per controllare con estrema attenzione quale fosse la parte più semplice da studiare.

“Ancora non posso crederci”, ripetevo con le fiamme negli occhi “Faremo un Open day; e lo faremo tanto bello che ci diranno: siamo i vostri fan numero uno”, urlai. Tanto non si poteva sentire a causa dell’enorme quantità di persone che si impegnavano nel corridoio a lavorare.

“Lavora” urlavano all’unisono Giulia Sorice e Molina. “E non pensare troppo in alto” continuò Molina. Stavo facendo un cartellone assieme a Molina e Sorice. “Che fatica” pensai fulminato. Eravamo un po’ sotto pressione, anche perché a volte la professoressa Barzaghi ci mandava un’occhiataccia e ci fulminava. A volte, mi sembrava che intendesse una frase del genere (ovviamente non è vero): “Se non fate come si deve il cartellone ve lo faccio ingoiare e rigurgitare, dopodiché vi controllo fino a quando non ne fate uno decente”. Ma credo sia una esagerazione. Il lavoro era sempre più faticoso. Mi stava colpendo tantissimo la grinta che mettevano tutti nel fare i propri lavori. Scherzando e giocando, tutte le medie e le elementari erano all’opera. Vedevo volti grintosi che si accanivano sui cartelloni e ragazzi che ardevano dalla voglia di continuare a lavorare, ma anche vagabondi senza meta che pellegrinavano per le classi, anzi per la nostra classe, a chiedere la colla, ma che almeno facevano qualcosa. Era un’enorme fabbrica. Ma non era una fabbrica qualunque, una fabbrica di diamanti e oro puro.

Io feci soltanto qualche cartellone e studiai la mia parte. Allora mi ritrovai in classe a fare la schematizzazione dei capitoli di storia o almeno così, il Prof. credeva. Non tutti facevano lo schema: “Passa, lancia, tira, anzi Goal”. Giocavano con l’astuccio di quei poveri sfortunati che era stato portato via dagli infami. “Dopo tutto è una preparazione all’Open day in parte anche esagitata” pensai nel delirio più silenzioso del mondo.

 

Dopo una estenuante e divertente settimana, arrivò il giorno dell’Open day. Anche quelli non presenti, hanno contribuito   fermandosi il pomeriggio assieme ai professori per finire i cartelloni. Se non ci fossero stati, non saremmo riusciti a finire il tutto. “Ed eccomi qua. All’Open Day, o meglio, verso l’Open day” pensavo specchiandomi al finestrino. “Chissà, sto meglio con o senza cravatta? Senza, è ovvio” mi chiedevo. Cercavo di distrarmi dal fatto che avrei dovuto esporre. Mi vedevo già: tremante come un terremoto, faccio cadere qualcosa e…….addio esposizione. “Cerca di stare calmo” mi dicevo. Ma niente.

Ero accompagnato da mia sorella, mia madre e mio padre. Avevo ancora un’ora. Che avrei fatto? Ma la domanda trovò una risposta nell’entrata. Mi sembrava di essere all’Expo. Salutai i miei e corsi nell’aula come una Ferrari modificata. “Al diavolo l’ansia. Qui c’è il mondo” dissi guardando attorno. Le persone correvano e facevano le file per vedere le aule dei propri figli. Quelle che mi passavano attorno sembravano avere uno sguardo perplesso. Giravano su loro stessi mentre decidevano, con una lite, che aula visitare. ”Penso abbia bisogno di un cicerone”. L’ora a mia disposizione volò come un fulmine. Ero soddisfatto e non solo di tutte le aule visitate ma anche delle aule stesse. La mia classe (la I°A) indossava una corrente di foglie e di capolavori della I°D sulla gita al Naviglio. Le foglie, lì, erano un elemento essenziale che trovavi e ammiravi ovunque. Il blu e l’azzurro delle acque dominavano l’aula dando una bella impressione. Sui cartelloni erano scritti e illustrati argomenti diversi: aritmetica, scienze, poesia, ecc., ecc. E questo è solo un accenno alla bellezza di tutte le aule.

Solo il pensiero che era il mio turno mi fece retrocedere un po’; ma solo un po’. Ero troppo contento, per spaventarmi adesso. “Questo è il mio primo Open day e deve filare alla maniera migliore” pensavo concentrandomi al massimo.

Finalmente toccò a me.

Il mio cuore batteva a mille. “Calmati” pensavo, “Ciao, tocca a voi, vediamo come ve la cavate”, dissero gli altri miei compagni, con aria altro che triste.

“Ah, ah, ah, non è divertente”, risposi nervosamente.

Arrivò il primo visitatore, e poi il secondo, ed il terzo, il quarto,..presi confidenza, anche grazie ai complimenti che mi facevano tutti alla fine del giro: ”Bravo, molto preciso, ottimo lavoro, sei stato bravissimo”. “Vorrei essere pagato“ pensavo ogni volta, “Bè, almeno guadagno l’ammirazione”. Nella nostra aula non venivano solo persone comuni ma anche celebrità: vennero ad ascoltarmi esporre i due presidi del Sacro Cuore, ma che non fecero in tempo a sentirmi esporre.

Insomma la giornata corse come un lampo, è stata fantastica. Bé, non tutta. A parte essere rimasto lì sino alle tre, il resto è stato più che ok.

Però sono stato comunque contento. “Almeno anche se sono rimasto un’ora e mezza in più, ho scoperto che le carote si pelano con un temperino grande dieci volte il normale…”.

Ormai il giardino si era trasformato in un Paradiso. I boccioli si sono aperti e sono usciti i fiori, dai petali di colori illimitati, il cui nettare è stato portato via da api, che non lo toglieranno mai più.

(JACOPO, 1^A Bachelet)

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